Storia del Palazzo di Giustizia

Origine della denominazione

La colonna di porta Tosa.
Litografia Rossetti della fine del XIX secolo.
Milano, Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli

La porta Tosa si apriva, dunque, nella cerchia delle mure medioevali ricostruite dopo la distruzione della porta da parte di Federico Barbarossa, ma, in effetti, più che porta, era denominata pusterla. Eppure aveva un borgo che si estendeva per mille passi ordinari dalle mura fortificate, un ampio corso, non meno prestigioso di altri, lungo cinquecento passi, ed era provvista, nel XVII secolo, anche di un arco, se pure modesto, e di una smisurata colonna, opera del Richino, eretta per desiderio di S. Carlo.
Per quanto riguarda la sua denominazione - Tosa o Tonsa - si è ancora incerti a che cosa attribuirla: secondo il Torre che nel suo secentesco Ritratto di Milano, rifacendosi al cronista trecentesco Galvano Fiamma, ne dà ampia notizia, alcuni racconti relativi a tale appellativo sono favolosi, tramandati dalle consuetudini locali; come quello in base al quale, distrutta Milano ad opera del Barbarossa, si narra che gli abitanti superstiti si sarebbero recato a Costantinopoli dall'imperatore a chiedere sussidi ed aiuto per la ricostruzione della città.
Ma l'imperatrice avrebbe frapposto seri ostacoli all'assenso del marito, per cui i milanesi, tornati in patria, si sarebbero vendicati, erigendo proprio su una porta della città, perché tutti lo potessero vedere, un simulacro in marmo con la sua effigie, rappresentandola, però, in un atto sfrontato, con le forbici in mano, mentre - riferisce il Torre - mostrava di tosar quelle membra, che un lodevole rispetto suole occultare tra panni. Da tale disdicevole statua, la pusterla avrebbe preso la sua denominazione, derivandola dal latino tondere, cioè tagliare.
Un'altra memoria tramanda che, mentre l'esercito del Barbarossa, accampato sotto Milano assediata, stava raggiungendo la vittoria, una bellissima femmina milanese trattasi in farsetto ed esposte sue membra nude a pubblica vista, da un aperto balcone attendeva a quell'impiego di mutilarsi le membra. Quindi inteneritisi gli soldati a tal veduta, deposte l'armi, fecero vedere in pratica, più danneggiare gli eserciti una discinta Venere che un ben armato Marte. Per tale vittoria, quindi, fu necessario consegnare ai posteri una statua che ricordasse l'avvenimento, posta sull'arco presso il quale avvenne l'episodio e che, per il coraggioso gesto, prendesse il nome di Tonsa.
Comunque fosse, a ricordo dei cronisti - e tra questi dell'attendibile Bugatti - la statua rimase sul posto per molto tempo e vi figurava ancora sul finire del Cinquecento quando venne tolta per desiderio di S. Carlo; ma fu conservata con cura, se il Torre assicura di averla vista tra le antichità raccolte nel museo del conte Orazio Archinti.
Mentre nell'Ottocento, si dice figurasse in bella vista, nel giardino di casa Origoni, lungo il naviglio di porta Nuova; indi fu trasportata nel Museo Archeologico, dove si trova tuttora. Fin qui la tradizione popolare. Secondo alcuni cronisti di storia locale, come Ottone e Acerbo Murena o il Corio, la denominazione della pusterla sarebbe invece derivata, già anteriormente alla distruzione del Barbarossa, da una nobile famiglia, che diede personaggi illustri alla città, come il primo generale dei padri Umiliati.

Corte di Appello